Il Salone del Libro vittima della cattiva politica.

La responsabilità dello stallo alla messicana sulla nomina del nuovo direttore del Salone ha due nomi e due cognomi molto chiari: Stefano Lo Russo e Alberto Cirio.

La loro incapacità di portare a una sintesi gli esponenti dei loro partiti, la loro incapacità di fare buona politica, la loro incapacità di andare oltre alla tanto sbandierata “concordia istituzionale” (concordia soprattutto da Selfie, aggiungo io), sta emergendo chiara e palese in una questione di fondamentale importanza per la città e per la Regione.

In tutti questi mesi, non solo non sono stati in grado di convincere il miglior direttore di sempre – Nicola Lagioia – a restare, non sono nemmeno riusciti a trovare un degno successore, avviando un iter per la selezione che si sta rivelando un fallimento, oltre che una gran perdita di tempo.

Ora, il rischio che il Salone vada a Milano, forse non c’è più anche se Lo Russo, è sempre bene ricordarlo, fece parte di quella giunta che riuscì a farlo andare via, incanalando fino al 2016 una serie di disastri uno dopo l’altro.

Furono Appendino e, mi sembra giusto ricordarlo, Chiamparino che nel 2017 e nel 2018 con la loro tenacia salvarono e rilanciarono il Salone di Torino, portando al fallimento di quello di Milano.

E fu loro la scelta di Nicola La Gioia, tassello fondamentale per la creazione di quella squadra vincente.

Si sedettero a un tavolo , pensarono a ciò che ritenevano il meglio per il Salone, e presero una decisione. Vincente.

Oggi Lo Russo e Cirio stanno distruggendo tutto ciò che si è faticosamente costruito, come fossero Blanco che prende a calci le rose dell’Ariston.

Vi prego, trovate una soluzione, non dico migliore di Lagioia, ma almeno decente e in tempi ragionevoli.

Altrimenti, se non sarà più Milano, sarà Bologna, Firenze, Roma, o Parma, come è appena accaduto per Automotoretrò.

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